Il risarcimento danni a seguito di una caduta in ospedale impone che si riesca a dimostrare il nesso causale tra il peggioramento o il decesso di un paziente e, appunto, la sua precedente caduta (da un letto, da una barella, etc.) in una struttura sanitaria pubblica o privata.
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ToggleNel caso in esame, Lucia (nome inventato per tutelare la privacy della paziente) è una donna di 72 anni, ricoverata in una casa di cura in Lombardia. Nonostante le cadute dei giorni precedenti e le plurime raccomandazioni da parte dei familiari, oltre alla loro richiesta di assisterla durante la notte, la paziente viene lasciata sola e il personale ospedaliero dispone unicamente l’uso di spalline da letto nelle ore notturne.
Segue un’altra caduta da cui Lucia non si riprende più e, dopo circa tre anni di grande sofferenza, muore. I familiari della donna, a quel punto, decidono di affidarsi a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato nella tutela dei parenti delle vittime di malasanità, riuscendo a ottenere, pur a seguito di un prolungato iter giudiziario, un risarcimento danni per caduta in ospedale di quasi un milione di euro.
Paziente caduto a terra
Quello di Lucia è il classico caso del paziente caduto a terra. È un episodio che non dovrebbe verificarsi e che, in un certo senso, mina il rapporto di fiducia che il paziente e i suoi familiari instaurano con la struttura sanitaria a cui si rivolgono. A volte, tuttavia, si parla di “caduta accidentale” ed è per questo motivo che è fondamentale indagare le cause e capire se la caduta poteva o meno essere evitata.
Lucia, ricoverata in una struttura sanitaria in Lombardia, cade per la prima volta il 16 ottobre 2012. Tre giorni dopo viene trasferita nel reparto di Neurologia dove il personale ospedaliero dispone l’uso di spalline da letto, dalle 20 alle 8, e una terapia farmacologica al bisogno (da somministrare quando è particolarmente agitata). Nelle ore successive la donna rimane in stato confusionale, con la tendenza a scavalcare le spondine finché la sera del 20 ottobre, a circa mezz’ora dalla sedazione farmacologica, viene trovata riversa a terra.
Sei vittima di un caso di malasanità?
È l’inizio della fine. La tac rivela la presenza di un ematoma sottodurale subacuto. Il giorno dopo Lucia viene sottoposta a un intervento chirurgico d’urgenza e trasferita in Rianimazione. Il 24 ottobre è di nuovo in sala operatoria per un intervento di tracheostomia. Seguono mesi difficili in cui la paziente viene portata in un’altra struttura sanitaria con diagnosi di “tetraparesi spastica in ictus”.
La situazione non migliora, anzi. Lucia risulta costantemente allettata, in posizione fetale con lo sguardo deviato, portatrice di Peg (gastrostomia endoscopica percutanea) e catetere. Il 20 febbraio 2016, quasi tre anni e mezzo dopo la prima caduta, muore. La causa del decesso viene individuata in un “ematoma sottodurale acuto post-traumatico, stato vegetativo con sindrome da allettamento e con sepsi da Klebsiella Pneumoniae”.
Caduta accidentale in ospedale: risarcimento danni
La famiglia si affida a Giesse Risarcimento Danni e viene tentato, invano, un accordo stragiudiziale con la struttura. Così si apre la fase giudiziaria, con l’instaurazione di una causa civile. Il consulente tecnico d’ufficio (d’ora in avanti ctu), nominato per le necessarie operazioni peritali, evidenzia fin da subito il nesso causale tra la caduta dal letto della paziente del 19 ottobre 2012 e la sua morte, avvenuta il 20 febbraio 2016.
“Si riscontra – scrive il ctu – un comportamento censurabile per imprudenza nel prevenire la caduta dal letto della paziente da parte dei medici del reparto di Neurologia e un ugual comportamento censurabile nella vigilanza da parte del personale infermieristico successivamente alla somministrazione del neurolettico”.
Risulta inoltre comprovato che Lucia, prima di quella caduta, “fosse comunque vigile, collaborante, orientata nel tempo e nello spazio con eloquio fluente, sufficientemente autonoma nei suoi atti di vita quotidiana”.
Il ctu chiede di riconoscere 38 mesi quale danno biologico temporaneo al 100% e sottolinea l’elevata sofferenza patita dalla paziente.
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Caduta in ospedale: cifre del risarcimento
Il 12 luglio 2022 il Tribunale accoglie le tesi sostenute dai legali fiduciari di Giesse Risarcimento Danni e, basandosi sulle Tabelle di Milano, attribuisce il risarcimento in questo modo:
- 142.500 euro a titolo di danno non patrimoniale iure hereditario (cioè il danno patito in vita dalla donna, ottenuto dal giudice moltiplicando 125 euro per 1.140 giorni, ossia i 38 mesi di sofferenza dalla caduta alla morte);
- 260.000 euro a titolo di danno non patrimoniale iure proprio al marito;
- 249.010 euro a titolo di danno non patrimoniale iure proprio per ciascuno dei due figli;
- 2.981, 96 euro a titolo di danno patrimoniale iure proprio;
- rimborso spese di lite e di consulenza tecnica.
Il 29 novembre 2022 la struttura impugna la sentenza in Corte d’Appello, contestando il quantum delle somme risarcitorie riconosciute agli aventi diritto e chiedendo la sospensione della provvisoria esecutività della stessa. La grande esperienza di Giesse Risarcimento Danni e dei suoi legali fiduciari, maturata nella valutazione di decine di migliaia di casi di malasanità, ha permesso di trovare un accordo stragiudiziale con la controparte che, di conseguenza, ha rinunciato all’appello.
Evidenziati, altresì, gli errori materiali commessi dal giudice di primo grado nel conteggio dei punteggi, e ricalcolati i danni non patrimoniali iure proprio e quelli patrimoniali, l’azienda sanitaria ha accettato di liquidare la somma complessiva di 950.000 euro, di cui 330.000 per il marito e 285.000 per ciascuno dei due figli.
Caduta accidentale di un paziente: procedura
La raccomandazione ministeriale numero 13 per la prevenzione e la gestione della caduta del paziente nelle strutture sanitarie delinea una serie di procedure o linee guida per prevenire l’evento caduta e individua attività preventive sia generiche (per tutti i pazienti) sia specifiche (per i pazienti come Lucia con elevato rischio caduta).
Non dimentichiamoci, inoltre, l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui “il contratto di ricovero produce, quale effetto naturale ex art. 1374 c.c., l’obbligo della struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che questi possa causare danni a terzi o subirne” (cfr. Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, n. 25288).
Nel caso in esame, la paziente presentava episodi di delirio ipercinetico ed episodi sincopali. Nei giorni precedenti alla caduta era confusa, disorientata nel tempo e nello spazio con la tendenza a scavalcare le spondine del letto.
Gli stessi farmaci prescritti dalla struttura, secondo il ctu, risultano essere “un provvedimento non sufficiente per garantire la sicurezza del paziente, ovvero si doveva provvedere all’impiego di una fascia contenitiva o di un lenzuolo anticaduta”. Inoltre, “il personale infermieristico doveva monitorare strettamente il paziente fino a quando l’effetto farmacologico di sedazione sullo stesso si fosse realizzato”.
L’uso di un presidio contenitivo, conclude il ctu, “era doveroso e lecito nella gestione di un paziente allettato ed agitato che aveva già tentato di scavalcare le sponde del letto la sera precedente”.