La storia di Marco (nome inventato per tutelare la privacy del paziente) racconta una vicenda di risarcimento danni per infezione in sala operatoria. Si tratta di un caso di malasanità complesso, iniziato con una diagnosi corretta e tempestiva di “dissecazione aortica”, ma proseguito con una serie di errori medici che hanno fatto insorgere nel paziente numerose infezioni post-operatorie le quali, purtroppo, non gli hanno lasciato scampo.
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ToggleParliamo di 11 mesi di agonia, 7 diversi interventi chirurgici e 9 ricoveri. I familiari di Marco, assistiti dai professionisti e dai legali fiduciari di Giesse Risarcimento Danni, hanno portato il caso davanti al Tribunale civile veronese che, alla fine, ha condannato l’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona: il risarcimento per l’infezione in sala operatoria contratta a seguito dell’intervento per dissecazione aortica ammonta a oltre 800.000 euro.
Un caso di risarcimento per infezione in sala operatoria: l’intervento per dissecazione aortica e lo stato settico
È il 14 agosto 2011 quando Marco, veronese di 55 anni, sente un forte dolore allo sterno e sviene. Ricoverato al pronto soccorso dell’ospedale “Sacro Cuore” di Negrar, viene sottoposto a Tac toracica e si scopre una lacerazione dello strato interno dell’aorta che rende necessario un intervento per dissecazione aortica. I medici decidono di trasferirlo d’urgenza nel reparto di Cardiochirurgia dell’Aoui di Verona, dove rimane in sala operatoria per più di otto ore.
L’intervento viene eseguito alla perfezione ma quella che sarà poi inquadrata come febbre da infezione post-operatoria fa suonare il primo campanello d’allarme. Un errore diagnostico-terapeutico, avvenuto sia prima sia nei giorni successivi all’intervento chirurgico, porterà all’esito che purtroppo già conosciamo e alla richiesta, da parte dei familiari, di un risarcimento danni per lo stafilococco aureo e le sue conseguenze.
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Un caso di risarcimento per infezione in sala operatoria: la febbre da infezione post-operatoria
Gli accertamenti dei consulenti – scattati per l’infezione dopo l’intervento chirurgico e le successive complicanze ad essa connesse – si soffermano innanzitutto sul reparto: emerge la mancanza di una revisione critica dell’epidemiologia locale e degli isolamenti di germi resistenti. Questa negligenza, insieme ad alcune scelte sbagliate effettuate dai medici prima e dopo l’intervento per dissecazione aortica, è tra le cause dell’infezione da stafilococco.
“Trattandosi di intervento eseguito in regime d’urgenza – si legge nella perizia dei ctu – è altamente probabile che non sia stato eseguito alcun tipo di screening preoperatorio”.
Ed è per questo motivo che la profilassi antibiotica pre-intervento, che dovrebbe durare al massimo 48 ore, viene prolungata dai medici ben oltre il tempo raccomandato dalle Linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali in materia di prevenzione e controllo delle infezioni di origine ospedaliera (d’ora in avanti solo Linee guida).
“I sanitari, consci di non aver rispettato appieno le misure di prevenzione e contrasto delle infezioni nosocomiali – scrive il giudice nella sentenza – potrebbero aver volutamente scelto di prolungare la copertura antibiotica per 10 giorni nel tentativo di controbilanciare il rischio infettivo aumentato a causa delle verosimili carenze delineate”.
I medici, però, ottengono l’effetto contrario: aumentano la vulnerabilità del paziente e la probabilità che egli sviluppi infezioni, favorendo di fatto la selezione di microrganismi più resistenti agli antibiotici.
Subito dopo l’intervento per dissecazione aortica, il numero di leucociti comincia ad aumentare in modo costante e dalle radiografie emerge la presenza di versamento pleurico. Nonostante queste risultanze, il personale sanitario del reparto di Cardiochirurgia non capisce cosa sta succedendo e il 29 agosto 2011 dimette il paziente in “discrete condizioni generali”, trasferendolo all’ospedale di Negrar senza alcuna terapia antibiotica.
A quel punto compare la febbre da infezione post-operatoria e alcune note infezioni ospedaliere colpiscono un po’ alla volta l’organismo sempre più fragile di Marco, dapprima alle vie urinarie, poi con dolore toracico e aumento del versamento pericardico. Ha così inizio un calvario fatto di continui ricoveri e interventi chirurgici (in uno dei quali si scopre che la vena dell’aorta è già ampiamente colonizzata dal processo infettivo e risulta perforata).
Seguono il coma e, il 18 luglio 2012, la morte. La famiglia di Marco, ancora addolorata per quanto accaduto, si rivolge a noi di Giesse Risarcimento Danni per capire, tramite i nostri periti, cosa sia successo, se vi siano stati degli errori evitabili e, in caso affermativo, se possano ottenere un risarcimento per l’infezione in sala operatoria.
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Un caso di risarcimento per infezione in sala operatoria: gli accertamenti
Il decesso del paziente viene collegato a “disfunzione multiorgano da protratto stato settico in un paziente fortemente debilitato dai lunghi periodi di ricovero”. Nel corpo di Marco, in poco più di 5 mesi, viene rilevata la presenza delle seguenti infezioni ospedaliere: Pseudomonas Aeruginosa (30 settembre 2011), Klebsiella Pneumoniae (25 novembre 2011), Staphylococcus Aureus, Klebsiella Pneumoniae (per approfondimenti sull’infezione da Klebsiella clicca il seguente link: “Infezione ospedaliera Bolzano: la cassazione conferma il risarcimento”) e Pseudomonas Aeruginosa (2 marzo 2012).
I medici, alla fine, giungono alla completa negativizzazione delle emocolture ma il quadro infettivo rimane grave e c’è un nuovo episodio di febbre settica. Secondo il giudice risulta innegabile il ruolo iniziale dell’infezione da stafilococco nel determinismo del decesso.
Se i medici avessero seguito scrupolosamente le Linee guida, il nesso causale tra il primo evento infettivo, la successiva comparsa di infezioni ospedaliere e il decesso, si sarebbe verosimilmente interrotto. In caso di mediastinite, infatti, la sopravvivenza del paziente è legata alla velocità della diagnosi e alla correttezza del trattamento, con un tasso di mortalità che oscilla tra il 10 e il 47%.
“Considerando che l’intervento era stato condotto con successo – sottolinea il giudice – le probabilità di sopravvivenza del paziente in assenza della sopravvenuta infezione del sito chirurgico da Staphylococcus Aureus sarebbero risultate buone”.
Il giudice ha quindi accolto le tesi presentate dai legali fiduciari di Giesse Risarcimento Danni e condannato l’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona a versare più di 800mila euro ai familiari della vittima, quale risarcimento danni per lo stafilococco aureo.
Anche se è difficile risalire all’esatta origine dell’infezione (per conoscere le infezioni ospedaliere più frequenti leggi il nostro articolo “Infezione ospedaliera: risarcimento danni”), non c’è dubbio – secondo il giudice – sul fatto che questa sia da ricercare “in una non completa aderenza alle Linee guida ed alle buone pratiche clinico-assistenziali in materia di prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere da parte dei sanitari che ebbero in cura il paziente durante il suo ricovero nel reparto di Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona”.
La fase conclusiva: il risarcimento danni per lo stafilococco aureo
La morte di Marco poteva essere evitata? Secondo noi di Giesse, i ctu e il giudice, sì.
Intanto, con una profilassi antibiotica corretta prima e dopo l’intervento per dissecazione aortica. E, a monte, con quelle misure standard che tutti i reparti dovrebbero applicare per contrastare le infezioni ospedaliere più frequenti: la sterilizzazione degli ambienti, lo screening preoperatorio di organismi multi-resistenti, la profilassi antimicrobica, la preparazione preoperatoria della pelle e le scelte della tecnica chirurgica più adeguata.
Arriviamo, dunque, al risarcimento danni per lo stafilococco aureo e le sue conseguenze. Il giudice si è basato sulle tabelle di Milano e ha accolto le richieste risarcitorie in questo modo:
- 280.000 euro alla moglie a titolo di danno non patrimoniale iure proprio;
- 230.000 euro a ciascuno dei due figli a titolo di danno non patrimoniale iure proprio;
- 47.185 euro a favore degli attori a titolo di danno non patrimoniale iure hereditario;
- 17.360 euro a favore degli attori a titolo di danno patrimoniale iure proprio.
L’Azienda ospedaliera, inoltre, è stata condannata a pagare le spese processuali e a rifondere, ai familiari della vittima, le spese per l’assistenza tecnica di parte nella fase giudiziale.
Il giudice ha sottolineato che nella liquidazione del risarcimento per l’infezione ospedaliera “deve tenersi conto anche del fatto che gli stessi hanno assistito quotidianamente, impotenti, al lungo e penoso calvario di quasi un anno e alla sofferenza del proprio coniuge e genitore, tormentati dal timore, se non addirittura dalla consapevolezza, che prima o poi avrebbe condotto alla morte del proprio caro”.